Una mamma l’altra notte mi ha scritto:

“La regressione sembrava passata, dopo qualche settimana è tornato a svegliarsi tanto.”

La mia riflessione mi porta altrove: le regressioni non esistono. Sono fasi di sviluppo. I piccoli, in realtà, progrediscono proprio nei momenti

in cui sembrano “tornare indietro”.

Spesso i genitori, spiazzati dalla frammentazione del sonno apparentemente immotivata o repentina, modificano il proprio atteggiamento.

È una reazione comprensibile, ma questi cambiamenti possono creare un circolo vizioso: alcune abitudini, come introdurre nuovi stimoli (acqua, latte, ciuccio, movimento), rischiano di consolidare comportamenti che prolungano questa fase temporanea.

Non è una responsabilità dei genitori: di sonno infantile si parla poco e spesso non si conoscono le giuste strategie. Tuttavia, comprendere il sonno, analizzare i cambiamenti avvenuti e adeguare l’approccio può essere essenziale per affrontare una fase evolutiva senza comprometterne il riposo a lungo termine.

Le principali tappe evolutive

Le “progressioni” sono momenti di cambiamento nei modelli di sonno, legati a tappe di sviluppo o a fattori esterni. Di seguito, le più comuni:

3-5 mesi

Durante questa fase, il sonno diventa più simile a quello degli adulti, con cicli definiti ma accompagnati da più risvegli notturni e difficoltà di riaddormentamento. Per saperne di più, puoi leggere questo approfondimento:
Un’introduzione al quarto mese (LINK)

8-9 mesi

Tipica di questa fase è l’ansia da separazione, legata allo sviluppo dell’attaccamento e alla comprensione della permanenza dell’oggetto (il bambino riconosce che i genitori esistono anche quando non sono visibili, come descritto da Piaget).

Caratteristiche principali:
Risvegli notturni frequenti: il bambino si sveglia spesso e fatica a riaddormentarsi.
Pisolini irregolari: la durata e il numero di riposi diurni possono variare.
Maggiore bisogno di conforto: il bambino cerca rassicurazioni e vicinanza.
Resistenza all’addormentamento: segnali di stanchezza possono accompagnarsi a difficoltà nel rilassarsi.

12-14 mesi

Questa fase coincide con grandi progressi cognitivi, motori ed emotivi. Il bambino consolida la propria autonomia, ma manifesta ancora ansia da separazione, soprattutto durante la notte.

Caratteristiche principali:
Reazioni emotive intense: pianto o agitazione quando il genitore si allontana.
Preferenza per il caregiver primario: forte attaccamento alla figura principale di riferimento.
Difficoltà nel sonno: frequenti risvegli notturni e difficoltà a riaddormentarsi.
Crescente capacità cognitiva: il bambino associa sicurezza alla vicinanza del caregiver, ma fatica a comprendere che il genitore tornerà dopo l’allontanamento.

Strategie utili:
Creare routine prevedibili per offrire stabilità.
Introdurre transizioni graduali, ad esempio lasciando il bambino con un adulto fidato per brevi periodi.
Rassicurarlo senza cedere a risposte impulsive, mostrando empatia e fermezza affettuosa.

18 mesi

Questo periodo segna un picco nell’ansia da separazione, accompagnato da progressi importanti nell’autonomia e nello sviluppo emotivo.

Caratteristiche principali:
Crescente autonomia: il bambino inizia a muoversi in modo più indipendente (es. camminare), ma cerca ancora il caregiver per sicurezza.
Consapevolezza della separazione: il bambino comprende meglio l’assenza dei genitori, ma non ha piena fiducia che torneranno.
Sviluppo emotivo intenso: emozioni complesse, ma difficoltà a regolarle autonomamente.

Supportare l’autonomia:
Scelte limitate: dare al bambino piccole decisioni (es. scegliere il pigiama) lo aiuta a sentirsi in controllo.
Incoraggiare l’auto-regolazione: lasciare spazio al bambino per calmarsi da solo prima di intervenire.

Conclusioni

Ogni fase di sviluppo richiede pazienza e coerenza. È importante analizzare il proprio approccio e adattarlo alle necessità del momento, senza esitazione nel chiedere supporto a un professionista.

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